giovedì 29 novembre 2007

IL DISSESTO IDROGEOLOGICO NEL FERMANO
Relazione tenuta dai geologi Sergio e Fabrizio Ioiò al Convegno "Emergenze Ambientali del Fermano"
organizzato nell'ottobre 2003 da Italia Nostra-sezione di Fermo
Prima di entrare nel merito dell’argomento specifico vale la pena di chiarire il significato di “dissesto idrogeologico”.
Per dissesto idrogeologico si intende qualsiasi fenomeno di squilibrio o disordine del suolo e sottosuolo che l’acqua è in grado di produrre. Nella comune accezione trattasi di frane e alluvioni cui, però, la legge 183/89 (legge quadro per la difesa del suolo) aggiunge l’erosione della costa, la subsidenza e le valanghe.
Purtroppo la storia italiana è tristemente ricca di eventi catastrofici di natura idrogeologica.
Una ricerca del C.N.R. che va dal 1279 al 1999 elenca 840 grandi frane con un bilancio di 10.000 morti. Una rassegna di V.Catenacci sul dissesto idrogeologico, dal dopoguerra al 1990, evidenzia che 4.568 territori comunali sono stati interessati da fenomeni legati alla instabilità che hanno prodotto 3.488 vittime con una cadenza mensile di 6,8 morti.
Nell’ultimo secolo la media annua è stata di 59 vittime. Sono tristemente noti gli eventi del Salernitano (1954) con 297 vittime, il Vajont (1963) con 1917 vittime e la Val di Stava (1985) con 269 vittime. Il rapporto danni/PIL = 0,15% (1-2 miliardi di euro/anno). La documentazione più completa ed attuale, nella edizione aggiornata del 2000 di Gisotti (Presidente SIGEA) e Benedini, prende in esame i più importanti dissesti idrogeologici avvenuti in Italia a partire dal 1103 al 1999. Il nome del territorio fermano e aree limitrofe ricorre abbastanza di frequente scorrendo l’elencazione storica dei principali dissesti quali:
1) una frana danneggia parte del paese di Grottammare nel 1103. Essa si ripete nel 1574, nel 1827 e nel 1843;
2) frana una parte della rupe su cui sorge Castignano con grande rovina di case nel 1204. Il fenomeno si rinnova nel 1335, nel 1574, nel 1717;
3) una grande frana distrugge Pedaso nel XVII secolo;
4) alla fine del XVIII secolo una frana distrugge il paese di Servigliano;
5) il 24 settembre 1810 una grande frana fa crollare sette case a Casteltrosino;
6) il 18 maggio del 1882 si innesca una grandiosa frana sul fianco orientale del Monte Ascensione.
Emblematica è la frana di Ancona per i suoi precedenti storici. Infatti il 16 novembre del 1858 si verifica un evento franoso importante sul versante settentrionale del Montagnolo (AN) dopo intense e continue piogge. La frana ha un fronte di circa 3 km compreso tra Torrette e Lamaticci e comprende la SS. Flaminia e quelle comunali di Posatora, Sappanico e della Molta. Il fenomeno si ripete nel dicembre del 1982 con risultati catastrofici (la grande frana di Ancona) con 1200 sfollati, distrutte 800 case, le OO.PP. (acquedotti, metanodotti, ospedali, linee ferroviarie, SS. 16, strade comunali, ecc.) con danni per 1.000 miliardi di vecchie lire. Nella fase di bonifica fu accertata una coltre di depositi continentali e lacustri che documenta lo sprofondamento di una porzione del versante di almeno 50 ml. Tale accertamento dimostra una attività di frana di almeno 4-5 mille anni. (1 cm/anno).
L’ondata di maltempo del 15-16 dicembre 1999 con intense precipitazioni produce l’esondazione di n°4 fiumi delle Marche. I danni maggiori provengono dalla ostruzione dei fossi da parte di ramaglie, detriti e rifiuti che hanno prodotto, poi, una onda di piena con danni gravi al sistema viario e alle infrastrutture in genere e allagamenti dei campi lungo le pianure alluvionali.
La storia insegna, quindi, che i dissesti tendono a ripetersi negli stessi luoghi e con le stesse modalità e possono essere ad evoluzione lenta o rapida.
Le cause sono principalmente riconducibili a fattori geologici, morfologici e climatici, cui spesso si unisce l'attività antropica che rappresenta l’elemento decisivo quando i terreni si trovano in uno stato di precarietà fisica e strutturale.
Senza passare in rassegna le molteplici cause delle frane, che possono essere raccolte in due grandi gruppi riferibili all’aumento o alla riduzione delle forze di taglio, il caso del comprensorio fermano è un esempio emblematico di instabilità latente riferibile alla natura dei terreni e alla loro pendenza cui l’aggiunta del contributo umano diventa spesso determinante. Infatti i terreni dei versanti collinari sono di natura argillosa mentre in cresta si trovano sabbie e/o conglomerati.
Questi ultimi, essendo permeabili, si lasciano attraversare dalle acque che, scendendo verso il basso, mollificano le argille e depositano minuscole particelle di terreno che si raccolgono in lenti lungo i versanti o alla loro base (cosidetta coltre-colluviale). Per cui basta un incremento di carico naturale o artificiale lungo i versanti o un taglio al loro piede per innescare un movimento franoso. E’ questa la massima esemplificazione del fenomeno della instabilità dei versanti che, ovviamente è più articolato e complesso. Serve, però, a comprendere il perché di certe frane che si innescano all’improvviso senza una apparente motivazione logica.
Vale la pena di citare alcuni esempi di dissesti che si sono verificati negli ultimi trenta anni cui, spesso, la mano dell’uomo non è stata estranea:
1) la frana Mentuccia-Fughetta. Un editto papale del 1843 non solo proibiva l’edificazione nella zona ma, addirittura, invitava a lasciare in sodo il terreno. Non solo la zona è stata urbanizzata, ma si è anche costruito male trascurando la disciplina delle acque. In particolare una fogna a cielo aperto, proveniente da monte (Via V.Veneto) che una volta (periodo bellico) scaricava le acque all’altezza dei numeri civici 46 –54 di viale Ciccolungo, è stata ritombata. E, guarda caso, lungo tale direttrice, si è innescata la frana che ha preso il nome Fughetta dal proprietario del fabbricato che è stato traslato di qualche decina di metri verso valle, nonostante le ripetute sottofondazioni, dal movimento che si è arrestato nel momento in cui la zona è stata bonificata con drenaggi, dopo una serie di inutili lavori costosissimi;
2) il versante sud del centro abitato tra Via M.Morrone e Via Trevisani è tendenzialmente instabile, soggetto a lenti movimenti legati all’acclività, alla fatiscenza della rete fognaria, alla inidoneità delle fondazioni dei fabbricati (quest’ultima è una conseguenza) e ai loro sovraccarichi;
3) il fosso Reputolo che in un passato recente ha travolto ogni tipo di briglia costruita lungo il suo ripido tracciato. Oltre alla pendenza, al dissesto ha contribuito lo scarico delle acque piovane dell’intero quartiere di S.Francesco che un tempo venivano convogliate sulla testata del fosso. La rimozione di tale inconveniente, con la deviazione altrove delle acque di pioggia, ha drasticamente ridotto il dissesto che si manifestava con escavazione e sempre maggiore approfondimento del letto e coinvolgimento laterale della parte prossima delle sponde. E’ auspicabile che la recente sistemazione idraulica del corso d’acqua abbia definitivamente risolto e stabilizzato il dissesto;
4) la lottizzazione P.I.P. di Rapagnano lungo la SS. 210 Faleriense rappresenta una classica conseguenza dell’errore umano che si è manifestato con il taglio del piede di un versante naturalmente instabile. Lo spuntellamento al piede di terreni di origine colluviale con un appoggio precario su terreni argillosi, in presenza di acqua al contatto, ha prodotto e continua a produrre fenomeni franosi in corrispondenza di ogni lotto quando si va a effettuare lo scavo di sbancamento per la realizzazione del piano d’imposta dei fabbricati. Va ricordato che anche la strada per Rapagnano è stata e a suo tempo coinvolta;
5) la storica frana di Montelparo, di origine complessa, che si riattiva in particolare durante i terremoti, attraversa, con direzione N-S, la parte mediana del centro storico determinando un gradino morfologico che si evidenzia particolarmente al contatto tra la Chiesa di S.Gregorio e Piazza Cavour. Ricerche storiche fanno risalire al 1683 il documentato crollo di case (Colucci) che si ripetono in occasione del terremoto del 1703 con la distruzione del Convento dei Padri Agostiniani e del Pubblico Palazzo. La casa posta al numero civico 433 di Piazza Cavour ha subito uno spostamento di circa 4 metri dal 1831 al 1966 (Studio Ioiò S.) pari a circa 0,3 cm/anno. Nonostante i lavori di consolidamento il movimento, anche se rallentato, continua inarrestabile;
6) la frana di crollo di Monte Ranaldo in Comune di S.Vittoria in Matenano sul versante sud lungo la strada per Montelparo dei primi anni 90. E’ una grandiosa visione, oggi scomparsa a seguito della aratura, che evidenzia la potenza delle forze della natura che si scatenano senza apparente motivazione. Trattasi di argille stratificate soggette a frana di crollo;
7) la frana della rupe di Montefalcone che ha caratteristiche analoghe a quelle di S.Leo dove frequenti sono i crolli di massi. Trattasi di uno sperone roccioso alto un centinaio di metri, costituito da arenarie fratturate fagliate, tenere, attraverso le quali filtrano le acque luride e piovane fino al basamento argilloso di base che subisce un ammollimento. Ne è stata recentemente consolidata una modesta porzione in corrispondenza della galleria di accesso al paese provenendo da Smerillo, mentre per il resto è stato predisposto un complesso progetto di consolidamento e di protezione della S.P. per Comunanza.
8) Montegranaro è un centro emblematico per quanto riguarda i movimenti franosi. Dalla frana del versante orientale che ha origini naturali (erosione al piede operata dal Rio Maggio) cui si è aggiunto l’intervento umano (con la costruzione di fabbricati, apertura di strade e costruzione di fognature ed acquedotti) a quella di origine antropica come è il caso della parte apicale del versante settentrionale, riconducibile al deposito del terreno di riporto su un pendio a forte pendenza che è stato poi mobilizzato dal terremoto 1997-98.

Il Piano di Assetto Idrogeologico (cosidetto PAI), che la Regione Marche si è data e del quale sono scattate le misure di salvaguardia, ha censito nel comprensorio fermano:
- un centinaio di frane a rischio R3 laddove cioè si possono verificare problemi legati all’incolumità delle persone, danni agli edifici e alle infrastrutture, le interruzioni delle attività socio economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
- una decina di frane a rischio R4 che possono dar luogo a perdita di vite umane e lesioni alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, nonché la distruzione di attività socio-economiche.
Le frane classificate a rischio inferiore, non sono state prese in considerazione, anche se a elevata pericolosità, perché non coinvolgono gli insediamenti umani. Il loro numero è elevatissimo a causa della natura argillosa dei terreni e della morfologia acclive del territorio.
Circa le problematiche connesse con i corsi d’acqua del fermano non è possibile fare un discorso attendibile ed esaustivo fino a quando non sarà stato ultimato lo studio idraulico dei fiumi principali da parte della Regione Marche. E’ risaputo che i fiumi hanno sempre contribuito in maniera determinante a modellare il territorio cui, nel tempo, si è aggiunta la mano dell’uomo con conseguenze catastrofiche.
Ad esempio nel caso del Tenna si è verificato:
- l’escavazione di ghiaia in alveo negli anni 60-70 ha prodotto il crollo dei ponti di Servigliano e Grottazzolina e l’abbassamento del letto di circa ml 8 in Comune di Belmonte;
- la esondazione in prossimità della foce a causa della ridotta sezione del ponte della FF.SS. e l’urbanizzazione a ridosso delle sponde. Quest’ultimo fatto ha obbligato la costruzione di elevati argini a protezione dell’abitato;
- l’erosione delle sponde e del fondo in vari punti del tratto tra ponte S.Giacomo e la SS. 16 Adriatica a seguito della costruzione non sempre corretta, perché limitata alla soluzione delle problematiche puntuali, di briglie e pennelli;
- la ricorrente esondazione in località S.Gualtiero in Comune di Servigliano
Proseguendo nelle analisi delle problematiche legate ai corsi d’acqua si possono citare:
- il fosso della Torre, la cui esondazione è stata un fatto ricorrente fino a data recente a causa della sopraelevazione e restringimento dell’alveo e dei ponti delle FF.SS. e sulla rampa di accesso alla SS.16 del centro abitato. Di quest’ultimo ponte è stata ampliata la sezione come pure sono stati costruiti nuovo argini, però la sezione del ponte della ferrovia è rimasta invariata;
- il fiume Ete Vivo è esondabile da C.da Salvano fino al mare. Ciò avviene a causa del restringimento della sezione idraulica, che ha comportato un innalzamento degli argini, fino al ponte della SS.16 ove essa è rimasta minima e inidonea a contenere l’onda di piena;
- il Rio S.Petronilla ha un decorso che non presenta problemi fino a che non entra in galleria, all’altezza del Teatro comunale di Porto San Giorgio, lungo la quale ci sono restringimenti che si possono facilmente ostruire con detriti e ramaglie, in caso di piena. Tale fatto può dar luogo, come già avvenuto circa cinquanta anni fa, all’allagamento di gran parte del centro abitato rivierasco;
- il fiume Chienti i cui territori in sponda destra della parte terminale fanno parte del comprensorio fermano. In questo tratto si è verificato un sovralluvionamento del letto (deposito di ghiaia e presenza di vegetazione), dovuto a mancata manutenzione, che è in grado di innescare fenomeni di esondazione e/o di erosione laterale. Il torrente Cremone (affluente in sponda destra) per le stesse ragioni, esonda facilmente lungo il suo tracciato in Comune di Montegranaro e contribuisce a quella del Chienti in occasione di piene improvvise a causa di un ridotto tempo di corrivazione.

Fenomeni analoghi interessano il torrente Ete Morto, anch’esso affluente di destra del Chienti.
E’ evidente che il variato regime pluviometrico e la mancata manutenzione, soprattutto dei corsi d’acqua minori, contribuiscono in maniera determinante al verificarsi delle predette calamità.

CONCLUSIONI
La storia della terra e la memoria (esperienza) umana evidenziano che il dissesto idrogeologico è un processo evolutivo naturale soprattutto in territori fragili come il comprensorio fermano. La sua giovane storia geologica, la natura litologica dei terreni, la morfologia acclive del territorio e il carattere torrentizio della maggior parte dei corsi d’acqua sono elementi che concorrono a rendere tendenzialmente instabile l’equilibrio ambientale. Se a tutto ciò si aggiunge, talora, l’incosciente contributo umano, si comprende come possa essere facile superare la soglia di equilibrio con il conseguente innesco di fenomeni catastrofici.
Per concludere è opportuna l’elencazione di alcuni consigli che, seppure modesti e di facile attuazione, possono contribuire a limitare la portata dei danni legati alle cosidette calamità naturali:
- evitare l’aratura a rittochino lungo i versanti;
- realizzare una adeguata e fitta rete di drenaggio superficiale nella fase di aratura dei terreni;
- conferire le acque piovane dei campi in punti definiti, di facile controllo;
- pulire e mantenere efficiente la rete dei corsi d’acqua minori;
- proteggere gli scavi di sbancamento e costruire rilevati in maniera corretta e con materiale idoneo;
- controllo delle reti idriche e fognarie.
E' ovvio che ogni intervento di trasformazione antropica del territorio, piccola o grande che sia, deve essere adeguatamente valutata in un contesto ambientale ampio e correttamente attuata.

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